L’amore travolge, non dà riposo, cambia il corso della vita. Accade a Isidoro, frate presso il convento della Gangia, costretto ad abbandonare la sua vocazione per amore della bella Rosalia, “Rosa e Lia. Rosa che ha inebriato, rosa che ha confuso, rosa che ha sventato, rosa che ha ròso, il mio cervello s’è mangiato (…) Lia che m’ha liato la vita come il cedro o la lumia il dente, liana di tormento”.
Tra gli stucchi del Serpotta, la passione che travolge Isidoro, la fuga del pittore Fabrizio Clerici da un amore non corrisposto, si dà vita all’opera di Vincenzo Consolo “ Retablo” (Oscar Mondadori, 1987), una storia che riaccende la memoria di culture e tradizioni settecentesche siciliane.
Un unico filone narrativo trattato da tre prospettive differenti. Oratorio, in cui l’io narrante è quello di Isidoro, vittima di “uno di quegli amori furenti che non trovano giammai appiglio o risonanza nel cuore del bersaglio al quale disperatamente son puntati”; Peregrinazione, viaggio che Clerici intraprende per riscoprire le tracce della sua donna, Teresa Blasco, divenuta poi sposa di Cesare Beccaria; e per finire, Veritas, capitolo finale, in cui Rosalia racconterà la storia dal suo punto di vista in una lettera indirizzata ad Isidoro.
Retablo è un omaggio alla letteratura, scritto negli anni della contestazione giovanile, in cui si riteneva che la letteratura fosse un’attività borghese. Si avvale di un linguaggio colto e a tratti desueto.
“Per quel che si svolge e per come è scritto, questo racconto è come un miracolo: il che, per altro esattamente si conviene alla parola “retablo”, di solito i “retablos” in pittura rappresentano sequenze di fatti miracolosi” (Leonardo Sciascia)
Antonietta La Porta Vai alla precedente recensione Pagina LIBRi SICILIANI |