ROMA (ITALPRESS) – “Il mio impegno per la Patria e per i valori costituzionali non è mai venuto meno. Un giuramento, soprattutto quello al tricolore, è per sempre”. Così, in una lettera al Corriere della Sera, l’eurodeputato della Lega e generale Roberto Vannacci, replicando al giornalista Carlo Verdelli che gli aveva suggerito di dimettersi dall’Esercito.
“Preciso che nessuna legge o normativa mi impone di farlo – aggiunge -. Non mi risulta, peraltro che, in passato, siano state richieste le dimissioni di altri militari o magistrati che hanno espresso pubblicamente le loro idee o che hanno partecipato attivamente alla vita politica del Paese. Il suo consiglio appare quindi privo di fondamento sia per normativa che per storia. L’ordinamento vigente, infatti, prevede che sia i militari che i magistrati possano partecipare alla vita politica e descrive le modalità e le procedure peculiari affinchè ciò possa avvenire. Questa è l’essenza della democrazia che, per definizione, attinge la classe dirigente dal popolo, non dalle èlite avulse dalla società e non preclude ad alcuno la partecipazione politica. Vorrei inoltre rassicurarla che le mie dichiarazioni e, soprattutto, le mie azioni sono sempre state conformi ai miei doveri istituzionali e alle leggi dello Stato. Infatti, tutti i giudici richiesti di vagliare le mie condotte hanno finora sempre confermato la correttezza del mio operato. Ora il mio servizio alla Patria continua con una veste diversa: seguiterò a promuovere e difendere i valori fondamentali della libertà, della democrazia, della giustizia, della libera espressione del pensiero (sempre messa in discussione da chi, a parole, si professa democratico – solo ultimamente, dal sindaco di Nichelino) e del rispetto della dignità umana. Non è improbabile che un giorno io possa tornare al servizio militare attivo, come fece Cincinnato tornando alle sue terre. Pretendere che un politico debba essere esclusivamente un politico, privo di esperienze in altri campi e incapace di tornare a tali attività, imporrebbe forti limitazioni partecipative alla vita pubblica del Paese a chi ha scelto la professione di militare, di professore o di magistrato. Di sicuro, la mia attività attuale è ispirata dallo stesso desiderio che ha caratterizzato la mia carriera militare: la difesa dell’Italia, prima in armi e ora contribuendo al suo benessere, e la protezione dei suoi valori fondanti che tutelavo rischiando la vita sui campi di battaglia e ora difendo esprimendomi dallo scranno di Bruxelles. Peraltro, sottolineo che la sua partigiana digressione sulla Decima Mas è fuori luogo, soprattutto se diretta a uno che ha militato per trent’anni nelle Forze Speciali del nostro Paese. Oltre a quello che le interessava ventilare per corroborare la sua teoria, per amor di verità, avrebbe dovuto ricordare che tra i ranghi dell’odierna Marina Militare esiste un reparto erede delle tradizioni, del valore, del coraggio e delle gesta eroiche di quella gloriosissima unità della Regia Marina che operò colando a picco un tonnellaggio di naviglio nemico superiore a quanto l’intera Marina non avesse fatto dal ’39 al ’43. Quella è la Decima al cui valore con deferenza mi inchino. Quella, per intenderci, di Durand de la Penne, di Emilio Bianchi, di Teseo Tesei, di Bruno Falcomatà, e visti i miei pregressi di mestiere non era difficile immaginarselo. Ogni altro riferimento sarebbe totalmente arbitrario e lo respingo al mittente. Sconfortante, inoltre, constatare che ai giovani di oggi i nomi di questi eroi siano quasi sempre sconosciuti. Ribadisco anche che non considero ‘fascistà un’offesa, ma, tutt’al più, un giudizio politico che, come tale, rispetto”.
– foto Agenzia Fotogramma –
(ITALPRESS).
“Preciso che nessuna legge o normativa mi impone di farlo – aggiunge -. Non mi risulta, peraltro che, in passato, siano state richieste le dimissioni di altri militari o magistrati che hanno espresso pubblicamente le loro idee o che hanno partecipato attivamente alla vita politica del Paese. Il suo consiglio appare quindi privo di fondamento sia per normativa che per storia. L’ordinamento vigente, infatti, prevede che sia i militari che i magistrati possano partecipare alla vita politica e descrive le modalità e le procedure peculiari affinchè ciò possa avvenire. Questa è l’essenza della democrazia che, per definizione, attinge la classe dirigente dal popolo, non dalle èlite avulse dalla società e non preclude ad alcuno la partecipazione politica. Vorrei inoltre rassicurarla che le mie dichiarazioni e, soprattutto, le mie azioni sono sempre state conformi ai miei doveri istituzionali e alle leggi dello Stato. Infatti, tutti i giudici richiesti di vagliare le mie condotte hanno finora sempre confermato la correttezza del mio operato. Ora il mio servizio alla Patria continua con una veste diversa: seguiterò a promuovere e difendere i valori fondamentali della libertà, della democrazia, della giustizia, della libera espressione del pensiero (sempre messa in discussione da chi, a parole, si professa democratico – solo ultimamente, dal sindaco di Nichelino) e del rispetto della dignità umana. Non è improbabile che un giorno io possa tornare al servizio militare attivo, come fece Cincinnato tornando alle sue terre. Pretendere che un politico debba essere esclusivamente un politico, privo di esperienze in altri campi e incapace di tornare a tali attività, imporrebbe forti limitazioni partecipative alla vita pubblica del Paese a chi ha scelto la professione di militare, di professore o di magistrato. Di sicuro, la mia attività attuale è ispirata dallo stesso desiderio che ha caratterizzato la mia carriera militare: la difesa dell’Italia, prima in armi e ora contribuendo al suo benessere, e la protezione dei suoi valori fondanti che tutelavo rischiando la vita sui campi di battaglia e ora difendo esprimendomi dallo scranno di Bruxelles. Peraltro, sottolineo che la sua partigiana digressione sulla Decima Mas è fuori luogo, soprattutto se diretta a uno che ha militato per trent’anni nelle Forze Speciali del nostro Paese. Oltre a quello che le interessava ventilare per corroborare la sua teoria, per amor di verità, avrebbe dovuto ricordare che tra i ranghi dell’odierna Marina Militare esiste un reparto erede delle tradizioni, del valore, del coraggio e delle gesta eroiche di quella gloriosissima unità della Regia Marina che operò colando a picco un tonnellaggio di naviglio nemico superiore a quanto l’intera Marina non avesse fatto dal ’39 al ’43. Quella è la Decima al cui valore con deferenza mi inchino. Quella, per intenderci, di Durand de la Penne, di Emilio Bianchi, di Teseo Tesei, di Bruno Falcomatà, e visti i miei pregressi di mestiere non era difficile immaginarselo. Ogni altro riferimento sarebbe totalmente arbitrario e lo respingo al mittente. Sconfortante, inoltre, constatare che ai giovani di oggi i nomi di questi eroi siano quasi sempre sconosciuti. Ribadisco anche che non considero ‘fascistà un’offesa, ma, tutt’al più, un giudizio politico che, come tale, rispetto”.
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