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Trivellazioni in mare, MDT denuncia l’Italia alla Commissione Europea

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10/03/2016 - Trivellazioni in mare, MDT denuncia l’Italia alla Commissione Europea

Con una lettera inviata dal presidente Fabio Bruno assistito dall’avv. Giuseppe Agozzino, il Movimento per la Difesa dei Territori ha denunciato il Governo Italiano alla Commissione Europea per quattro violazioni del diritto europeo.

Secondo quanto si legge nell’esposto il Governo Italiano ha modificato  l’art. 6 comma 17 del D.lgs. 152/2006 con il comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208. Il testo precedente la modifica disponeva che «…Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, fatti salvi i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonché l'efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla medesima data…». Mentre il testo attuale prevede che « Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale».

Il provvedimento governativo in pratica riguarda le trivellazioni petrolifere in mare aperto, oggetto di un referendum abrogativo il 17 aprile 2016.

La normativa nazionale è in contrasto con il diritto europeo. In particolare, secondo MDT, si rilevano le seguenti violazioni:

La violazione della DIRCEE 12/12/2006 n. 2006/123/CE, la norma impugnata, con il prevedere la proroga dei titoli abilitati già rilasciati, che sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, viola il principio della durata limitata adeguata prevedendo nei fatti un rinnovo automatico ed un indebito vantaggio agli attuali possessori dei titoli abilitanti. Quanto al principio di scarsità della risorsa naturale lo stesso non può avere solo un valore in termini di “risorsa produttiva” ma più propriamente nel senso di impedire una durata illimitata delle autorizzazioni quando la risorsa naturale è scarsa. Nel caso in questione la risorsa naturale scarsa si riferisce sia al limitato numero di riserve di idrocarburi, ma soprattutto al mare, all’ambiente marino ed al paesaggio marino-costiero. La persistenza delle piattaforme finché abbia vita il giacimento elude il vincolo delle attuali condizioni globali del mare e dell’ambiente marino, irreversibilmente pregiudicate da attività di perforazione, ricerca ed estrazione senza limiti di durata, ciò in violazione ai principi di tutela del mare di cui alla Convenzione per la Protezione del Mar Mediterraneo dall'Inquinamento secondo la Convenzione di Barcellona.

Viene violata anche la Convenzione europea del paesaggio, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e sottoscritta a Firenze il 19 luglio 2004, ratificata dall’Italia con la legge n. 14 del 9 gennaio 2006, la permanenza delle piattaforme di trivellazione per la durata di vita utile del giacimento, e quindi per un tempo indefinito, attua un profondo sconvolgimento del paesaggio costiero italiano, per di più in aree del territorio di altissimo pregio naturalistico.

La terza violazione riguarda l’art. 4 DIRCEE 30/05/1994 n. 94/22/CE lett. b), secondo il quale Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché «la durata  dell'autorizzazione non superi il periodo necessario per portare a buon fine le attività per le quali essa è stata concessa. Tuttavia le autorità competenti possono prorogare la durata dell'autorizzazione se la durata stabilita non è sufficiente per completare l'attività in questione e se l'attività è stata condotta conformemente all'autorizzazione». Con la norma impugnata, in realtà, l’Italia ha prorogato i titoli abilitativi non in relazione alle finalità per le quali è stata concessa l’autorizzazione ma per la durata di vita utile del giacimento. In questo modo permettendo all’utilizzatore di mantenere l’attività fino all’esaurimento della risorsa naturale e non in relazione agli scopi che sono stati autorizzati.

E per ultimo il Movimento per la Difesa dei Territori rileva un violazione della Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2011 sull'affrontare le sfide della sicurezza delle attività offshore nel settore degli idrocarburi (2011/2072(INI)). Secondo la risoluzione, «l’articolo 191 del TFUE sancisce che la politica dell'Unione in materia ambientale deve mirare a un elevato livello di tutela ed essere fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”». Con la norma impugnata, l’Italia ha violato il principio di precauzione, dell’azione preventiva e del principio di correzione alla fonte dei danni causati all’ambiente dalla permanenza delle piattaforme di trivellazione per la durata di vita utile del giacimento.

Sergio Leonardi


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