Pensando alla chiusura della Prefettura ciò che balena subito alla mente è la conseguente mancanza della presenza dello Stato per le attività del nostro territorio, ovvero meno controllo e poca presenza di legalità.
L’indignazione che si legge in questi giorni sui giornali da parte della politica, dei rappresentanti sindacali, del mondo del lavoro e dell’opinione pubblica lasciano per certi versi un po’ l’amaro in bocca perché non si capisce come mai oggi siano tutti in prima linea a protestare per un fatto gravissimo come la chiusura della Prefettura.
La chiusura della Prefettura non è da intendersi come l’inizio di una fine preannunciata, essa altro non è se non il risultato di politiche fallimentari e di una opinione pubblica assente. La cancellazione dell’identità del nostro territorio, tanto messa in evidenza da chi oggi si erge a paladino della giustizia, ha iniziato la sua discesa già negli ultimi 15-20 anni quando poche e molto pacate sono state le prese di posizione verso una gestione del nostro territorio che ha creato le condizioni perché oggi la soppressione della Prefettura diventasse realtà; basti pensare che la nostra provincia è formata da 174mila abitanti – di cui 61mila pensionati – che, per intenderci, equivalgono ad un quartiere e mezzo di Palermo.
La chiusura della Prefettura è l’ennesimo scippo perpetuato sul nostro martoriato territorio, dopo la chiusura della Banca d’Italia, la condizione della CCIAA di Enna diventata ormai mero sportello di quella di Palermo, le conseguenti chiusure dei Comandi Provinciali di Polizia, Carabinieri e Vigili del Fuoco, il declassamento dell’INAIL e, ci auguriamo di no, quello della sede Provinciale INPS.
Viviamo in un paese in cui è sempre difficile, se non impossibile, individuare i colpevoli per qualsiasi cosa succeda ma, alla luce di ciò che sta accadendo, piuttosto che puntare il dito contro un fatto che è stato voluto da chi negli anni ha permesso che la nostra provincia si svuotasse sempre più, che le giovani menti eccellenti cercassero fortuna in altri luoghi, che le nostre imprese vivessero momenti di fortissima crisi, che l’artigianato e l’agricoltura conoscessero un periodo che gradualmente diventa sempre più nero, sarebbe opportuno che chi di dovere si assumesse le proprie responsabilità di non aver fatto nulla affinchè non si creassero le condizioni per la chiusura dell’Ente che rappresenta la presenza dello Stato nel nostro territorio.
L’analisi del nostro territorio lascia poco spazio ad una visione di futuro roseo, solo la presenza dell’Università ha portato e porta un giro economico nella nostra precaria economia, mentre aspetti come quello del turismo che, da solo, potrebbero portare un indotto economico non indifferente alle nostre zone, rimangono solo chiacchiere da caffè che mai si traducono in fatti concreti. |
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