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Il Movimento per la Difesa dei Territori e L’altra Sciacca scrivono al Presidente Mattarella

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07/04/2015 - Il Movimento per la Difesa dei Territori e L’altra Sciacca scrivono al Presidente Mattarella

Da diverso tempo il Movimento per la Difesa dei Territori presieduto dall’ing. Fabio Bruno si occupa di una tematica ambientale, quella relativa alle trivellazioni petrolifere al largo del canale di Sicilia che rischiano di compromettere l’equilibrio ambientale attraverso l’inquinamento del mare e delle coste ed anche di innalzare la temperatura a causa dell’immissione di CO2 nell’atmosfera.

Di questa preoccupazione ben due associazioni territoriali si stanno occupando da tempo e di questo gravoso problema investendone direttamente il Capo dello Stato Sergio Mattarella.

Egregio Signor Presidente Sergio Mattarella,
siamo due “comitatini” (così come ci ha definiti l’attuale Presidente del Consiglio) che hanno a cuore il futuro dei nostri figli e della nostra Terra.

Il “Movimento per la Difesa dei Territori” (MDT) di Nicosia e il comitato “L’altra Sciacca” di Sciacca siamo venuti a contatto quasi per caso, perché entrambi molto sensibili alle problematiche ambientali e in particolare ai devastanti problemi collaterali legati alla ricerca, l’estrazione e la lavorazione del petrolio.

Finalmente si è rotto il muro del silenzio: i programmi “Scala Mercalli” e “Presa Diretta” di Rai3, hanno aperto gli occhi agli italiani. Ma la politica, gli uomini che abbiamo eletto per rappresentarci, con poche eccezioni, sembrano invece del tutto insensibili a tali problematiche.

Ed è per questo motivo che, anche utilizzando alcuni degli argomenti scientifici presentati in maniera esemplare nelle trasmissioni di cui sopra, ci rivolgiamo a Lei, Signor Presidente, capo dello Stato italiano, garante e rappresentante di noi tutti cittadini italiani, chiedendoLe di approfondire questa tematica che ci sta a cuore e fare il possibile perché l’Italia contribuisca in maniera sostanziale ad evitare il peggio.

La temperatura del nostro pianeta sembra destinata a crescere, per via delle pesanti immissioni di CO2 nell’atmosfera terrestre, la concentrazione ai giorni d'oggi è di 400 ppm, nell'era industriale l’uomo è riuscito a incrementare la concentrazione di CO2 di un terzo, rispetto al picco massimo di 300 ppm degli ultimi 800 milioni di anni, e non è finita perché in media la concentrazione atmosferica continua a crescere di 2 ppm all’anno.

Il riscaldamento globale è direttamente collegato alla concentrazione di C02, che genera l’effetto serra, al ritmo attuale si prevedono innalzamenti della temperatura dai 5 ai 6 gradi entro fine secolo, temperature che avrebbero effetti devastanti sulla vita così come la conosciamo; si pensi ad esempio all’agricoltura, che verrebbe flagellata da alternanze di periodi di siccità, piogge violentissime ed altri eventi metereologici estremi, oppure allo scioglimento dei ghiacciai, che porterebbe un innalzamento del livello del mare fino ad un metro (intere isole e vaste zone costiere verrebbero inghiottite dal mare) e la diminuzione della disponibilità di acqua dolce. Si rischia addirittura di innescare una reazione irreversibile di aumento della temperatura, infatti i ghiacciai fungono da termoregolatori della temperatura del nostro pianeta, perché riflettono parte della radiazione solare, evitando un riscaldamento eccessivo (il fenomeno dell’albedo) e, grazie alla differenza di temperatura (rispetto al resto della Terra), innescano le circolazioni atmosferiche e le correnti marine, che permettono le precipitazioni di pioggia necessarie all’uomo e all’agricoltura.

Gli scienziati concordano nell’indicare che l’aumento della temperatura media globale causato dall’effetto serra non deve superare i 2 gradi centigradi, al di sopra di quella dell’era pre-industriale1, per non innescare effetti probabilmente irreversibili.
L’attuale politica energetica, ancora prettamente basata sulla combustione degli idrocarburi, è la principali responsabile delle emissioni di CO2; oggi nel mondo emettiamo 36 miliardi di tonnellate di C02 l’anno (9 miliardi in più rispetto al dato di 10 anni fa), tutto questo deve cambiare rapidamente se non vogliamo rischiare l’estinzione.

“Bisogna abbandonare il petrolio prima che il petrolio abbandoni noi”, raccomanda Fatih Birol, economista capo dell’Agenzia Internazionale dell’Energia e un recente studio di Nature2 dimostra come il 50% degli idrocarburi devono essere lasciati nel sottosuolo se si vuole rientrare nell’obiettivo dei 2 gradi centigradi.

Tra l’altro ci sembra chiaro che l’ostinarsi ad estrarre ogni singola goccia di petrolio porterà a metodi estrattivi sempre più costosi (e dannosi) con conseguente crescita del prezzo del petrolio e di tutto ciò che al petrolio è strettamente collegato (energia elettrica, gas, trasporti e quindi merce), tutto questo ovviamente non succederebbe con un modello energetico legato alle rinnovabili.

Per quel che riguarda le alternative, se gli ingenti capitali investiti nella ricerca di nuovi processi estrattivi (ad esempio il fracking, ovvero la fratturazione idraulica delle rocce per estrarre lo shale gas) venissero invece indirizzati sulle energie rinnovabili, avremmo certamente l’imbarazzo della scelta.

La Danimarca ad esempio è un paese all’avanguardia, che ha definito una chiara politica energetica che dovrebbe garantirle la completa indipendenza dagli idrocarburi entro il 2050; già oggi il 20% dell’energia danese deriva dall’eolico, e si arriva al 40% aggiungendo solare e biomasse. Il piano energetico come primo passo prevede di arrivare al 50% di energia prodotta dall’eolico entro il 2020. E questa non è fantascienza, ci sono già delle cittadine danesi (che fungono da programma pilota), come ad esempio l’isola di Samso, completamente indipendenti dagli idrocarburi.

Anche in Arabia Saudita si pensa al dopo petrolio e si inizia a investire sulle rinnovabili.

E l’Italia invece cosa fa? L’Italia, con il suo altissimo potenziale solare ed eolico (per non parlare anche di maree, correnti e biomasse), in maniera completamente anacronistica decide invece di investire sul petrolio. L’Italia che con le sue riserve può solo contare su un quantitativo di petrolio che coprirebbe poco più di due anni di fabbisogno italiano, punta sull’incremento delle estrazioni petrolifere. L’Italia che potrebbe sostentarsi di solo turismo, preferisce mettere a repentaglio l’ambiente, la salute degli abitanti e il nostro immenso patrimonio paesaggistico, lasciando tutto alla mercé di petrolieri e politici (se non corrotti quantomeno ignoranti).

Lo “sblocca Italia”, rinominato dagli ambientalisti “sblocca trivelle”, ha reso appetibile alle compagnie petrolifere il poco e scadente petrolio italiano, e queste si stanno gettando con voracità su qualsiasi area disponibile; una richiesta d’estrazione difronte alla “Scala dei Turchi” o nei pressi di Pantelleria o Porto Empedocle (per restare nella nostra amata Sicilia) la dicono lunga sul rispetto dei vincoli paesaggistici.

Ci preme sottolineare come non abbiamo fatto alcun esplicito riferimento all’inquinamento intrinseco, collegato all’estrazione e la lavorazione degli idrocarburi e agli effetti sulla salute degli abitanti delle zone interessate, e non abbiamo neanche parlato di possibili incidenti che potrebbero ad esempio compromettere per secoli un mare chiuso quale è il Mediterraneo, ne tantomeno accennato ai rischi legati alle trivellazioni ed estrazioni in zone sismiche o vulcaniche come quelle che circondano la nostra Sicilia. Abbiamo preferito parlare di impatto a livello globale, piuttosto che a livello locale, perché innanzitutto ci sentiamo obbligati, come abitanti del pianeta Terra, a fare la nostra parte per mantenerlo vivibile per le generazioni future.

Signor Presidente,
Le chiediamo quindi di intervenire nei modi che la Costituzione le consente, affinché il Governo ponderi con esattezza, cioè alla luce della Scienza, le conseguenze delle scelte che sta per fare che ricadranno sul futuro di tutti noi.

La ringraziamo per l’autorevole attenzione che vorrà dedicare al problema e la salutiamo molto cordialmente.

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