Relazione della Direzione investigativa antimafia. La provincia di Enna per “Cosa Nostra” è un territorio dove stringere alleanze con sodalizi locali ed allargare la propria sfera di influenza

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Presentata in Parlamento la relazione semestrale (secondo semestre 2019) sull’attività della Direzione investigativa antimafia. Il quarto capitolo della relazione è dedicato alla “Criminalità organizzata siciliana” e all’interno troviamo una relazione completa sulla presenza mafiosa in provincia di Enna.

Di seguito pubblichiamo la relazione che riportiamo integralmente e che da un quadro chiaro sulla presenza mafiosa in provincia e sulle relazioni con la criminalità organizzata in altre province siciliane.


La provincia di Enna è posizionata agli ultimi posti delle classifiche annuali sulla qualità della vita in Italia. Benché siano presenti famiglie di Cosa nostra, l’area è da sempre considerata, per le più potenti consorterie delle province limitrofe – soprattutto catanesi – una sorta di retroguardia strategica, un territorio ove stringere alleanze con sodalizi locali ed allargare la propria sfera di influenza. La continua ingerenza delle organizzazioni criminali esterne alla provincia provoca, di conseguenza, una persistente rimodulazione degli assetti e degli equilibri tra le consorterie mafiose.

È noto il tentativo di un boss catanese, attraverso la diretta investitura della famiglia La Rocca di Caltagirone (CT), di imporre la propria autorità su Cosa nostra ennese e di porsi quale elemento di congiunzione tra questa ed i sodalizi catanesi, prima di essere tratto in arresto nel 2016. È necessario specificare che già nel 2009, il citato reggente di Cosa nostra ennese era stato colpito432, insieme atre suoi fedelissimi, da un’importante operazione che aveva rivelato gravi episodi estortivi su rilevanti appalti pubblici nella provincia di Enna e che aveva significativamente ridotto il potere dell’organizzazione criminale.

In questa fase di momentanea assenza di capi riconosciuti, altri malavitosi catanesi, questa volta appartenenti al clan Cappello Bonaccorsi, avevano tentato di porre le basi per una solida collaborazione con le consorterie ennesi.

Collaborazioni rivolte anche alle estorsioni, come emerso da una più recente operazione, che ha fatto luce soprattutto sulle dinamiche interne della famiglia mafiosa di Pietraperzia, sui ruoli degli esponenti di vertice e sugli affari criminali, documentando incontri del sodalizio ennese con importanti elementi della famiglia catanese dei Santapaola Ercolano.

Anche la provincia di Enna, infine, risulta essere al centro della cosiddetta “mafia dei pascoli”. Di quel sistema di affari illeciti che ruotano attorno ai contributi comunitari europei per il sostegno allo sviluppo agricolo. Una vasta indagine del maggio 2019 ha evidenziato come consorterie di altre province siciliane, in particolare un sodalizio originario di Capizzi (ME), avessero rivolto l’attenzione al flusso di finanziamenti comunitari, utilizzando a tale scopo terreni acquisiti mediante fittizi contratti di compravendita o di locazione, nonché aziende agricole situate nel cuore della provincia ennese.

L’organigramma criminale della provincia vede Cosa nostra organizzata in famiglie, che operano sulla porzione di territorio che fa capo alle città di Enna, Barrafranca, Pietraperzia, Villarosa e Calascibetta. Tutte le consorterie annoverano importanti esponenti di vertice detenuti a seguito di varie investigazioni. Tra queste, una delle più recenti ha riguardato la famiglia di Calascibetta.

L’esigenza di un ricambio delle posizioni apicali ha prodotto una lotta, facendo emergere criticità e contrasti tra i sodali.

Alle sopra citate famiglie sono collegati vari gruppi operativi nei territori di Piazza Armerina, di Aidone, di Valguarnera, di Agira, di Centuripe, di Regalbuto, Troina, Catenanuova, nonché di Leonforte.

Quest’ultimo, più recente, sarebbe stato costituito con diretta autorizzazione del più importante boss ennese. Ciascuno di questi gruppi – al pari delle famiglie – è stato raggiunto nel tempo da arresti importanti, che hanno portato ad una ridistribuzione dei ruoli all’interno.

Sul piano delle alleanze, qualche gruppo, ad esempio quello di Valguarnera, risulta collegato alla famiglia messinese di Mistretta e alla famiglia gelese degli Emmanuello, mentre altri, come ad esempio quello di Troina, sono inseriti nell’area di influenza di Cosa nostra catanese. Il gruppo di Catenanuova, fra gli altri, riveste una particolare posizione poiché è caratterizzato da equidistanza geografica tra Enna e Catania e quindi rappresenta una sorta di linea di congiunzione tra i due ambiti criminali. Una serie di lotte interne aveva portato questo sodalizio nell’area del clan catanese dei Cappello; la collaborazione giudiziaria di uno dei vertici ha confermato come il gruppo di Catenanuova fosse ormai quasi staccato da Cosa nostra ennese. L’intromissione dei Cappello nella provincia di Enna è stata anche recentemente confermata per il territorio del comune di Aidone, in seguito ad un’indagine che ha disvelato l’alleanza di un boss locale, desideroso di ricostruire il proprio gruppo malavitoso, con importanti referenti criminali di Caltagirone (CT) e Raddusa (CT).

Nell’entroterra siciliano, il comparto agro-pastorale rappresenta il settore di traino per l’economia che, di conseguenza, attira l’interesse delle consorterie mafiose affiancate da prestanome e professionisti compiacenti. Il fenomeno, rivelato in tutta la sua ampiezza negli ultimi anni, è stato confermato da un’indagine conclusa alla fine del primo semestre 2019, che ha rivelato la continuazione dell’oramai più volte dimostrato fenomeno dell’accaparramento di terreni agricoli, finalizzato all’ottenimento di contributi per il sostegno allo sviluppo concessi dall’Unione Europea. Sono emersi, in particolare – ad ulteriore conferma del fatto che le consorterie delle province limitrofe considerano il territorio ennese oggetto di conquista – gli intrecci affaristici tra esponenti delle consorterie catanesi, palermitane e, per quanto riguarda i sodalizi messinesi, quelli riconducibili al territorio di Capizzi (ME), da tempo infiltratisi stabilmente nel territorio ennese. Se si considera che i notevoli flussi finanziari rastrellati dai beneficiari affiliati alle organizzazioni malavitose non risultano essere stati reinvestiti nelle attività produttive del comparto rurale, effettivamente destinatario del contributo, si comprende il danno derivante dalla frode allo sviluppo agro-zootecnico della provincia di Enna e di tutto l’entroterra siciliano.

I suoli agricoli e boschivi vengono, d’altra parte, anche destinati alle coltivazioni di Cannabis, come è risultato da ritrovamenti di piantagioni occultate entro soprassuoli boschivi e in zone non facilmente accessibili. Il settore degli stupefacenti è sempre all’attenzione delle organizzazioni criminali, come confermato, nel semestre in esame, dall’operazione “Retiarius, che ha disvelato una ramificata ed attiva rete di soggetti, alcuni dei quali con precedenti specifici, che operava tra Piazza Armerina, i paesi vicini e la provincia di Catania, dedicandosi all’acquisto, al trasporto ed allo spaccio di hashish, marijuana e cocaina. In particolare “…l’attività investigativa…ha evidenziato l’esistenza di gruppi criminali che hanno operato tra la fine del 2016 ed il primo semestre del 2017 a Piazza Armerina e nel limitrofo centro di Valguarnera……ha inoltre disvelato i canali di approvvigionamento delle sostanze stupefacenti, che sono risultati far capo…” anche ad alcuni pregiudicati catanesi. Agli indagati è risultata collegata “…una vasta rete di spacciatori comprendente anche alcuni minorenni ed una moltitudine di assuntori, anch’essi in gran parte minorenni e per lo più studenti provenienti da altri paesi delle province di Enna…e di Catania”.

Per quanto riguarda le manifestazioni più comuni della criminalità organizzata nell’ennese, si deve evidenziare il considerevole numero dei danneggiamenti che, sebbene in lieve diminuzione rispetto al 2018, rappresentano ancora la preoccupante spia di pressioni estorsive sulle imprese e sul tessuto produttivo del territorio. Si segnala, a questo riguardo, la decisione della Corte di Appello di Caltanissetta che, proprio nel semestre, ha confermato le condanne per tre soggetti, i quali puntavano al controllo del territorio attraverso intimidazioni ed estorsioni, aggravate dal metodo mafioso, praticate nel comune di Troina.

Sul piano preventivo, la DIA di Caltanissetta, nell’ambito dei lavori del Gruppo Interforze Antimafia istituito presso la Prefettura ha monitorato le compagini societarie di imprese operanti nella provincia, contribuendo all’emissione di alcuni provvedimenti interdittivi antimafia nei confronti di società agricole, i cui soci sono risultati collegati a sodalizi mafiosi, spesso già coinvolti in indagini riguardanti l’indebita percezione di erogazioni pubbliche proprio nel settore agricolo.

 

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