In Italia e nel resto del mondo gli incendi distruttivi di chiese, cattedrali, basiliche, teatri, biblioteche, archivi storici ed edifici di pregio, sono stati ricorrenti nel passato, ma si verificano di frequente anche nei giorni nostri. Tra le varie cause: eventi bellici o di terrorismo, episodi dolosi o per incuria.
Un incendio, agli ennesi noto, è stato quello verificatosi nel 1446, nell’allora Castrogiovanni, che distrusse quasi totalmente la Chiesa Maiuri, chiamata anche Chiesa Maggiore, Chiesa Madre o Duomo, dedicata sin dal 1412 a Maria SS. della Visitazione.
Il sacro tempio fu voluto dalla regina Eleonora d’Angiò, dal 1302 sposa a Federico II d’Aragona. Iniziato a costruire nel 1307, fu concepito dagli architetti di Casa Aragonese nello stile gotico-catalano, di difficile lettura dopo i crolli dovuti all’incendio, se non nella parte absidale, che si salvò.
“Quell’incendio distrusse quasi totalmente la bella Chiesa, a causa dei lumini accesi nel coro. Il tetto, le navate, gli altari e le tante opere d’arte andarono perduti. Rimasero indenni il simulacro di Maria Santissima e le bellissime absidi poligonali trecentesche. Lo sgomento invase l’animo degli ennesi e, sgomberate le macerie, in una solenne adunanza di popolo fu stabilito, come voto comune, di ricostruirla più bella”. Così scrisse, nel 1962, lo storico locale Salvatore Morgana in una pubblicazione dal titolo “Maria SS. della Visitazione, Patrona Populi Hennensis”, edita dalla Lito-Tipografia L’Artigiana, Enna. Lo storico Paolo Vetri, nella “Storia di Enna” scritta nel 1885, sintetizza così il calamitoso evento: “In quell’anno (1446), quando di fresco si era usciti dal paganesimo, quando il culto del Vangelo e di Maria Madre di Gesù si erano incarnati nel popolo, di notte tempo prendeva fuoco la Chiesa Maggiore e le fiamme invaditrici si arrestarono solo dopo la quasi totale distruzione… e non risparmiò quadri, mobili e suppellettili”. E ancora il Vetri attesta: “L’amministrazione della Chiesa e la Università, non potendo sopperire a cotanto infortunio, implorarono papa Eugenio IV, dal quale ottenevano un Giubileo di anni sette e mesi sei, onde, con le oblazioni degli accorrenti devoti, ridare al culto quell’augusto tempio. Tale espediente non dava quei risultati sperati, e fu per questo che, dal re Alfonso il Magnifico, a preghiera sempre dell’Università e dei Cappellani, nel giugno 1451, s’infeudavano varie terre, a favore della chiesa Madre, fra le altre vi erano quelle del Giarramito, un feudo in territorio di Castrogiovanni”. Lo storico netino Vincenzo Littara nella sua “Storia di Enna”, un manoscritto del 1587, conservato nella biblioteca comunale, tradotto nel 2002 a cura di Valentina Vigiano, edizione Lussografica, così scrive: “Durante il regno di Alfonso il Magnifico, per negligenza dei superiori, la chiesa Maggiore ennese bruciò a causa d’incendi notturni; né si poté opporsi ad una tale disgrazia prima che tutte le suppellettili insieme con le icone e il tetto fossero bruciati”. Carmelo G. Severino, nel saggio “Enna, città al Centro” (Gangemi Editore, Roma, 1996), narra così l’evento: “A partire dal 1446, gli sforzi della città furono rivolti al grave problema della chiesa Matrice, che un furioso incendio danneggiò seriamente nella copertura, nelle navate, negli altari, oltre che nella torre campanaria, le cui strutture furono seriamente compromesse con il rischio di schiacciamento e crollo. Implorato dal Clero e dai notabili della città, Papa Eugenio indice un giubileo di sette anni e mezzo e un’indulgenza plenaria, solennemente indetti e promulgati con bolla papale [recentemente ritrovata nell’archivio storico della chiesa (N.d.A.)] per sensibilizzare la comunità cristiana e raccogliere i fondi necessari per finanziare la ricostruzione”. Il simulacro di Maria Santissima, che si salvò per miracolo, fu traslato nella chiesa dei Domenicani (ora di San Giovanni il Battista) e ivi rimase fino alla ricostruzione. Il tempio risorse ampio e ricco, nei vari stili, dal gotico a quello rinascimentale e al barocco. Occorsero quasi tre secoli per il completamento.
“A tutto il secolo XVIII il Duomo ha vissuto un lungo periodo di lenta ricostruzione e trasformazione, che ha visto all’opera insigni maestri noti e meno noti: architetti, pittori, scultori, intagliatori, affreschisti, stuccatori… e una folla di addetti, impegnati nelle arti e nei più svariati mestieri, che gli hanno dato l’aspetto attuale, in magnificenza e splendore, arricchendolo di pregiate opere”. Così attesta Antonio Ragona nel saggio “Il Duomo di Enna”, edito a cura dell’Azienda Autonoma Provinciale per l’Incremento Turistico, Publisicula Editrice, Palermo, 1988. Altri studiosi hanno scritto monografie sull’Edificio Sacro, con o senza illustrazioni, con notizie documentate e non. Si citano: lo stesso Antonio Ragona, “Artisti del Duomo di Enna”; “I monili della Madonna della Visitazione” di Maria Concetta Di Natale; “L’oreficeria di Sicilia dal XII al XVII secolo, di Maria Accascina; le pagine manoscritte di padre Giovanni dei Cappuccini; le cartelle di Paolo Vetri in “Monumenti Storici a Castrogiovanni”; il prezioso volume “La Patrona di Enna” di Rino Realmuto; i capitoli di “Enna in tasca” di Edoardo Fontanazza e, dello stesso autore, “Profonda Sicilia”. Infine le puntuali didascalie delle “Immagini del Duomo” di Rocco Lombardo.
Edoardo Fontanazza, nel suo volume “Enna…Quasi romanzo di un patrimonio” (Target Editrice, 1999), ha dedicato alla Matrice un intero capitolo dal titolo “La bellezza meno esibita: il Duomo”. Fa un excursus storico, limitato ai vari interventi, rifacendosi alle monografie pubblicate, che inquadrano le vicende del tempio dal XV al XX secolo. Egli così conclude: “L’atmosfera del Sacro Monumento è ovattata dal silenzio profondo che scorre nelle navate; la mia memoria forse, ha escluso qualcuno degli artefici, ma tra altari e colonne e archi e rilievi di legnameria, i loro pensieri sono impressi ugualmente per testimoniare tempi di saggezza e di fede. Allora mi sembra di immaginare, nei loro laboratori e nella fabbriceria, intagliatori, scultori, pittori, sbozzatori, falegnami, manovali e capomastri intenti all’opera con tempi e fantasie diversi, che hanno portato il loro contributo di creatività per la gloria del Tempio, arricchendolo di un variegato patrimonio d’arte”.
Salvatore Presti
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