Dopo la festività dell’Immacolata, all’approssimarsi del Santo Natale, nelle case degli ennesi si dava inizio a “riti” le cui origini risalgono a tempi lontanissimi.
I vegliardi ricordano ancora quel ‘Natale d’Altri Tempi’ dove il Presepe e la preparazione dei “Vucciddrata” (buccellati) davano il via all’annuale ricorrenza dell’Evento che ha mutato il destino del mondo. Nelle comunità parrocchiali l’avvento del Natale era molto atteso e partecipato. Le novene iniziavano, allora come ora, dopo la festività di Santa Lucia e le chiese erano affollatissime. La massiccia partecipazione di fedeli di tutte le età faceva registrare il “tutto esaurito”. Era anche il tempo dei Presepi allestiti quasi in ogni casa, su un tavolo o su una cassapanca, realizzati con materiali molto poveri, ma non mancava la fantasia. Erano i ragazzi che procuravano l’occorrente: le pietre col muschio per la grotta…la sabbia e le pietruzze per i viottoli…il vetro da colorare per lo stagno…la carta stagnola e quella colorata per i cieli stellati e le comete.
Le statuine, di solito in cartapesta o in gesso colorato (rare quelle in legno), a gennaio, dopo le festività, venivano gelosamente conservate dentro scatoloni. Gli addobbi erano fatti con le fronde di rami di foglie d’arancio o mandarino. Nelle chiese veniva esposto ‘u Bambineddru’ in ceramica, posto sopra il tabernacolo, dentro una cesta, adagiato sulla paglia, avvolto con del tulle bianco ed inghirlandato con fogliame d’edera variegata. Le funzioni religiose erano allietate con canti natalizi, accompagnati da maestri organisti: molto noto e apprezzato il M° Buscemi con la mezzo soprano signorina Barbarino. “Tu scendi dalle stelle” era il canto corale più eseguito. In alcune chiese, nella notte di natale, un bimbo ignudo di pochi mesi, in carne ed ossa, veniva portato dalla giovane mamma sull’altare per essere vestito con una tunica bianca, quindi benedetto…e mostrato all’assemblea.
I festoni, fatti d’archi in legno e lampade colorate, posti nei portali delle chiese, splendevano nel buio delle sere nebbiose dell’inverno ennese. “U Ciaramiddraru” suonava nenie natalizie con la sua cornamusa all’ingresso del Duomo e in alcune chiese parrocchiali.
Il dolce natalizio ennese per eccellenza, i “Vucciddrata”, fatti di pasta frolla, zucchero e cannella, con ripieno a base di fichi, mandorle e uva passita, venivano preparati secondo antiche ricette tramandate da generazione in generazione. Oggi le varianti sono tante: con la marmellata, la cioccolata, la nutella ecc. e si trovano in tutte le pasticcerie della città. Allora, invece, i bambini davanti al forno a legna della nonna sgranavano gli occhi, contando i minuti necessari perché i buccellati fossero pronti da mangiare ben caldi. Si rimaneva lì, davanti al forno, per tutta la sera, a godere del tepore della brace ancora accesa ed i bambini tutti ad ascoltare ‘u cuntu’ della nonna che immancabilmente iniziava con “C’era una volta…
Bastava poco per trovare la magia del Natale.
Salvatore Presti
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