Sia chiaro l’acqua è una risorsa, ed anche preziosa. Diviene ancora più preziosa in un contesto ambientale come quello siciliano nel quale i livelli di consumo superano, e non di poco, le disponibilità medie e la capacità di rigenerazione delle scorte naturali o antropiche.
L’acqua deve costare il giusto, ma l’accesso all’acqua deve essere garantito a tutti e non deve essere mai sotteso alle mere leggi del mercato.
Oggi il quadro della distribuzione e della gestione delle acque sul territorio provinciale ennese è caratterizzato in primis dal costo esorbitante della risorsa, e, se parte del costo così elevato è determinato dal prezzo alla fonte di Siciliacque (0,69 Euro/mc laddove altri gestori pubblici e pubblico-privati in Italia non superano mai i 30 centesimi ed in alcuni casi stanno ai 7 centesimi al mc) la tariffa si impenna appena passa alla elaborazione di Acquaenna, il gestore locale che, attraverso l’adozione di Piani d’ambito costosissimi e con notevole spregiudicatezza, fa ricadere sull’utenza milioni di Euro di spese non di rado superflue.
Se a tutto questo poi si aggiunge la discontinuità della erogazione, le perdite nella distribuzione che continuano a contrastare con il costo delle sistemazioni delle reti urbane, la pessima qualità quantomeno organolettica delle acque distribuite, praticamente inutilizzabili ai fini della potabilità, il costo elevatissimo del personale che, notoriamente, è stato prescelto attraverso un sistema esclusivamente clientelare, il quadro che emerge è semplicemente desolante.
Oggi, chiusa la vicenda ATO, l’ATI ennese si avvia ad una fase importantissima che potrebbe prevedere la approvazione di un nuovo Piano d’Ambito, meno impattante di quello sin qui seguito, ma la governance del gestore mira ad una ulteriore impennata dei prezzi che rischia di creare, anche in ragione del detrimento della economia locale causa COVID, una diffusa impossibilità a garantirsi l’accesso alla risorsa.
Il Piano d’Ambito ha sin qui realizzato poco più di 100 milioni di investimenti con un carico pubblico di 66 milioni e quasi 38 milioni derivati dalle quote versate in bolletta dai cittadini. Adesso si ipotizza, per i prossimi 15 anni, una spesa pari ad altri 200 milioni di Euro per i quali si immagina una partecipazione pubblica pari a 39 milioni di Euro e la rimanente parte, oltre 170 milioni, a carico dell’utenza. Una previsione che rischia di raddoppiare, nel prossimo quindicennio, la spesa pro-capite. In tutto questo registriamo la quasi totale assenza della politica o, peggio, l’adagiarsi su posizioni di difesa del management di Acquaenna.
Per tutto questo Legambiente, che è da sempre per il ritorno della gestione delle acque al pubblico, chiede che l’assemblea ATI proceda con un’immediata revisione del Piano d’Ambito che valuti e comprenda gli investimenti realmente necessari, con la creazione di una task force tra gli UTC dei comuni dell’ambito per l’individuazione di altri canali di finanziamento, a partire dalle ingenti risorse UE per la depurazione, con la stipula di regole certe per una tariffazione equa e sostenibile, anche per le fasce più deboli della popolazione, che determini una significativa e consistente riduzione della tariffa ed anche con la messa in mora del gestore che non è stato in grado di assicurare qualità delle acque distribuite e funzionalità dei depuratori.
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