Fobie: in cosa consiste il trattamento strategico

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Quando si parla di monofobie si fa riferimento a una tipologia di disturbo caratterizzata da una ricorrente e costante paura rivolta verso un particolare evento, un animale, una situazione o un oggetto: paura che non è mai motivata. Con uno psicologo di Firenze, il dottor Giorgio Ioimo, proviamo ad approfondire questa tematica.

La fobia è un evento invalidante?

Sì, anche se a volte si è portati a pensare il contrario: una convinzione errata frutto della constatazione che la fobia tende a manifestarsi in uno specifico contesto. Ebbene, questo non deve indurre a credere che essa sia meno invalidante rispetto a problematiche di altro genere. Dal momento che si tratta di un disturbo tanto peculiare, per altro, in alcuni casi può succedere che il soggetto sia in grado di tenersi alla larga dall’oggetto verso il quale nutre una fobia. Ma prima o poi può capitare un cambiamento nella vita che costringe la persona ad affrontare la propria paura. Ecco, quindi, che la sensazione di paura si palesa in modo intenso: e così si avverte il bisogno di contattare uno specialista, proprio con l’intento di risolvere il problema.

Quale approccio si può usare per rimediare?

Per esempio la terapia strategica breve, nella quale il dottor Ioimo è specializzato. Si tratta di un approccio che agisce dal punto di vista del sistema percettivo reattivo, vale a dire in base alle specifiche modalità con le quali ognuno di noi percepisce la realtà e reagisce di conseguenza. La paura è il sistema percettivo reattivo che sta alla base delle monofobie. La terapia breve strategica, inoltre, si serve anche del concetto di tentata soluzione. Esso riguarda l’insieme delle modalità di risposta e dei comportamenti che una persona mette in pratica allo scopo di risolvere un problema, e che però in realtà finiscono per amplificare tale problema ancora di più.

Nel caso delle monofobie, questo comportamento come si concretizza?

La tentata soluzione che più di frequente viene scelta da coloro che devono fare i conti con le monofobie è rappresentata dall’evitamento. In pratica il soggetto prova in tutti i modi a non esporsi alle situazioni che in teoria potrebbero farlo entrare in contatto con quello di cui ha paura. Ma non è tutto, perché l’evitamento si manifesta anche in altri modi: si evita perfino di parlare o di pensare a quello che, in una maniera o nell’altra, può essere correlata con l’oggetto della fobia. Un esempio classico consiste nel non toccare oggetti che trasmettono una sensazione che evoca l’oggetto di cui si ha paura.

E che cosa succede per effetto dell’evitamento?

Di certo l’evitamento fa sì che il soggetto sia in grado di affrontare con serenità la propria vita di tutti i giorni. Ma si tratta solo di un’apparenza: in realtà un comportamento di questo tipo è molto dannoso, perché è evidente che se si evita un evento o un oggetto per molto tempo questi finiscono per sembrare ancora più spaventosi, e quindi vengono temuti sempre di più. Quella dell’evitamento, pertanto, non è che una tentata soluzione: quando il soggetto ha a che fare con l’oggetto da cui scaturisce la fobia, la monofobia viene avvertita come una realtà che non può essere superata né, di conseguenza, risolta.

Che effetti ne possono scaturire?

Se si continua a evitare l’oggetto fobico, la persona non ha modo di conoscerlo. In base alla psicoterapia breve strategica, però, la paura più intensa è quella che deriva da ciò che non conosciamo. Così, fobie che potrebbero essere ritenute semplici, nel senso che sono circoscritte, hanno in realtà conseguenze molto gravi, perché rendono invalidante la quotidianità della persona, la cui vita viene condizionata in modo terribile.

Quindi, come si procede?

In seduta, secondo l’approccio prediletto dalla terapia breve strategica, il terapeuta deve adottare un atteggiamento direttivo, definendo una relazione in grado di comunicare una sensazione di sicurezza. È chiaro che tale percezione deriva anche dagli interrogativi che lo psicoterapeuta stesso pone durante il colloquio: domande che permettono al paziente di capire quello che sta provando. In terapia strategica breve è concreta la possibilità di comprendere le sensazioni del paziente, e questa possibilità dipende da quelle che vengono definite domande a illusione di alternativa, che si fondano sulla tecnica dell’anticipazione. Il terapeuta in questo caso ricorre al medesimo linguaggio che viene utilizzato dal paziente.

A che cosa serve questo metodo?

La possibilità di anticipare le sensazioni del paziente è uno dei benefici più evidenti. Inoltre, il terapeuta può stabilire un contatto da cui discende la relazione che è indispensabile per lavorare con successo. Nel caso in cui siano presenti più fobie, invece, il paziente deve mettere le varie fobie in scala, come se si trattasse di una vera e propria graduatoria. Questa tecnica è detta della classifica degli evitamenti, e permette di lavorare di volta in volta su un oggetto fobico solo. L’intervento specifico può essere disegnato solo dopo che la classifica è stata indicata.

 

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