PALERMO (ITALPRESS) – Un’occasione non solo per celebrare una figura fortemente attiva nella lotta alla mafia, ma anche per analizzare le prospettive per contrastarla a partire dal suo insegnamento: per portare avanti tale operazione è stata allestita una tavola rotonda nell’Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Palermo, ricordando a 44 anni dalla scomparsa il giudice Cesare Terranova e il maresciallo Lenin Mancuso, uccisi il 25 settembre 1979 da Cosa nostra.
Al centro del convegno il tema della prevenzione patrimoniale, riguardo al quale è unanime il pensiero secondo cui sarebbe controproducente modificarla con legge, mentre potrebbe essere un’opportunità l’eventuale ridefinizione di alcuni aspetti. All’evento hanno preso parte come relatori Annamaria Palma Guarnier, nella doppia veste di avvocato generale presso la Corte d’Appello di Palermo e presidente del Centro studi Cesare Terranova, la presidente della sezione distrettuale dell’Associazione nazionale magistrati Clelia Maltese, il presidente dell’Ordine degli avvocati di Palermo Dario Greco, il presidente della Corte d’Appello di Palermo Matteo Frasca, il vicepresidente del Centro studi Terranova Alberto Polizzi, il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia, il comandante regionale della Guardia di finanza in Sicilia Cosimo Di Gesù, il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione Antonio Balsamo e il procuratore generale della Corte d’Appello di Palermo Lia Sava; in platea erano invece presenti il sindaco di Palermo Roberto Lagalla, il prefetto di Palermo Maria Teresa Cucinotta, il presidente della Commissione regionale antimafia Antonello Cracolici, i rappresentanti delle forze dell’Ordine e una ventina di studenti dell’istituto Don Bosco.
Alla figura di Terranova è strettamente legata quella di Rocco Chinnici, sia per il lavoro comune all’Ufficio istruzione del Palazzo di giustizia sia perchè fu lo stesso Chinnici, dopo la morte del collega, a istituire il centro studi in suo onore insieme al magistrato Aldo Rizzo (scomparso un anno fa) e all’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Era il periodo in cui si ponevano le basi per l’aggressione ai patrimoni della criminalità organizzata, lavoro portato avanti anche attraverso la proposta di legge di Pio La Torre sul reato di associazione mafiosa: “Di successi ce ne sono stati tanti, ma non bisogna arretrare nè fare proposte di legge che vanifichino quanto fatto finora – sottolinea Palma -. Ne ho letta una che vorrebbe agganciare le misure di prevenzione patrimoniale alle condanne degli imputati, ma non la ritengo la strada giusta perchè non ci farebbe procedere speditamente come abbiamo fatto fino ad oggi; inoltre è importante attrezzarsi sugli aspetti tecnologici, perchè ormai la mafia utilizza mezzi informatici di ampio respiro, come web e metaverso, e dispone di tecnici altamente specializzati”. Le fa eco Maltese, che evidenzia come “il tema della prevenzione patrimoniale è sempre attuale: non dobbiamo mai dimenticare quante vite si siano spezzate per questo processo e che nessuno di questi traguardi era scontato. Oggi i patrimoni criminali sembrano spesso evanescenti: per non perderli di vista servono nuove tecniche investigative e investimenti importanti”.
Secondo Greco le misure di prevenzione “sebbene abbiano condotto a un passo avanti fondamentale nel contrasto alla criminalità organizzata e ci vengano invidiate dagli altri paesi, pur non essendo in alcun modo da mettere in discussione possono a mio avviso essere perfettibili, soprattutto per quanto riguarda la durata dei procedimenti e la gestione dei patrimoni: accanto alle possibili modifiche legislative auspico uno sforzo di congiuntura istituzionale, che coinvolga anche gli avvocati”.
A Frasca spetta il compito di tracciare la figura di Terranova: “Non ho avuto il privilegio di conoscerlo, ma sentii tanto parlare di lui da Chinnici, che quattro anni dopo subì lo stesso tragico epilogo anche lui a 58 anni: di Terranova percepii subito che era una figura autorevole, che a un aspetto severo coniugava una carica di umanità”. Il contesto in cui aveva iniziato a operare il magistrato era, prosegue il presidente della Corte d’Appello, “intriso di omertà assoluta di fronte alla spaventosa catena di delitti tra settembre 1959 e giugno 1963: secondo Terranova quella stessa mafia la cui esistenza era negata da clero e politica era già ramificata nel tessuto socio-istituzionale”. L’esito delle attività giudiziarie era tutt’altro che felice, in quanto “tendevano a concludersi con l’assoluzione per mancanza di prove: la ricerca della prova era estremamente ardua proprio per la barriera di silenzio che circondava i mafiosi. I primi processi contro la mafia non si svolsero nemmeno a Palermo ma a Catanzaro, perchè secondo la Cassazione i giudici di Palermo non avevano la serenità giusta per poter operare: quando le condanne emesse furono appena quattro vi fu grande sconcerto e la sensazione che i mafiosi avrebbero potuto sempre farla franca”.
Al profilo del magistrato Terranova si affianca quello del politico: “L’attività parlamentare non fu circoscritta solo alla lotta alla mafia, in quanto denunciò una serie di lacune del sistema giustizia e fu molto attivo sul tema dell’aborto: Terranova era stato tra i primi a capire che la celerità dei processi avrebbe potuto portare velocemente alla risoluzione delle controversie e alla riparazione nei confronti delle persone offese”. Accanto al giudice assassinato nel settembre 1979 viene celebrata la figura di Rizzo: di lui Polizzi racconta come “ha seguito il Centro studi prima da presidente e poi da presidente onorario fino agli ultimi giorni della sua vita: ha inoltre preso il posto di Terranova in parlamento e vi è rimasto per tre legislature, facendo peraltro il segretario della Commissione d’inchiesta sulla P2”.
Dopo la celebrazione del ricordo del giudice, la discussione si sposta sugli strumenti di prevenzione patrimoniale e sulle sfide che attendono l’Italia: “I beni di Cosa nostra contano di più degli anni di latitanza, vogliono proteggerli per evitare che finiscano nelle mani dello Stato – spiega De Lucia -. I parametri per il sequestro dei beni non sono più generici: il diritto alla proprietà può essere messo in discussione solo se tali beni non trovano più giustificazioni legittime. E’ fondamentale che non vadano toccate nè le misure di prevenzione nè le intercettazioni, delle quali ogni passaggio, anche quello che apparentemente è il più marginale, può essere fondamentale”.
Di Gesù sottolinea come il contrasto alla criminalità organizzata debba necessariamente passare da una revisione delle normative internazionali: “L’arricchimento della mafia è passato dall’acquisto di beni mobili e immobili all’espansione nel mercato imprenditoriale; alle forze dell’Ordine tocca il compito di cementare le relazioni con i paesi extraeuropei, che avendo normative diverse sono più restii a scambiare informazioni. Le organizzazioni criminali investono prevalentemente fuori dall’Europa proprio perchè ci sono meno vincoli ed è più facile nascondere l’accumulo dei beni a polizia e magistratura”. Un aspetto su cui l’attività mafiosa è più fervente, spiega Balsamo, è quello tecnologico: in più “la fascia di età maggiormente esposta per essere offesa dalla criminalità informatica è quella giovanile. Una nuova direttiva europea agisce proprio per contrastare questo tipo di attività: corruzione, riciclaggio, criminalità ambientale e tratta di esseri umani sono tutti reati strettamente connessi alle nuove tecnologie”. Sul sequestro e la confisca dei beni mafiosi l’ex presidente del Tribunale evidenzia come “la Convenzione di Palermo ci ha permesso di operare in un contesto ancora più ampio”.
Le conclusioni sono affidate a Sava, che ribadisce la necessità di non cancellare in alcun modo le misure di prevenzione: “Se le proposte di legge che puntano ad annullarle andassero a buon fine, il processo di prevenzione sarebbe sospeso finchè non si chiude il procedimento penale: la sfida è trovare un bilanciamento, al fine di evitare che questo strumento perda efficacia. Se oggi non abbiamo più i morti sulle strade è anche perchè l’attività preventiva ha funzionato: per migliorare il sistema dobbiamo da un lato salvaguardare queste misure, dall’altro sanare gli elementi negativi e puntare sul riutilizzo sociale dei beni confiscati”. Il procuratore generale della Corte d’Appello sposa inoltre la tesi della massima attenzione alle nuove tecnologie: “Le forze dell’Ordine si stanno specializzando nel seguire il capitale attraverso nuovi meccanismi tecnico-scientifici. Cosa nostra guarda alla moneta esattamente come faceva 40 anni fa: che si tratti di riciclaggio, traffico di stupefacenti o intercettare i fondi del Pnrr il suo obiettivo è sempre lucrare su interessi economici”.
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