I finanzieri del comando provinciale di Messina hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del 58 enne imprenditore agricolo L.D., risultato contiguo ad esponenti della criminalità organizzata operante nell’area dei Nebrodi ed accusato, in concorso con altri, dell’indebita percezione di finanziamenti pubblici e prestazioni assistenziali e previdenziali riconducibili al cosiddetto “falso bracciantato agricolo”, nonché innumerevoli ipotesi di falso.
Il provvedimento eseguito in data odierna è l’evoluzione dell’Operazione Ladybug, dal nome della principale società coinvolta, condotta dalle Fiamme Gialle della Tenenza di Patti e che, nel dicembre scorso, aveva già portato al sequestro preventivo, disposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina, di beni per un valore di circa 1,5 milioni di euro.
A far scattare l’odierna misura cautelare personale, invece, sono state le determinanti dichiarazioni rese da due recenti collaboratori di giustizia, entrambi raggiunti dall’ordinanza di misura cautelare in carcere nell’ambito della maxi Operazione Nebrodi che, lo scorso gennaio 2020, ha portato la Direzione Distrettuale Antimafia di Messina a disporre l’esecuzione di 94 ordinanze di custodia cautelare per associazione a delinquere di stampo mafioso, con il contestuale sequestro di oltre 150 aziende, in virtù dell’acclarato interesse dei due gruppi mafiosi all’epoca investigati, il clan dei tortoriciani ed il clan dei batanesi, proprio per il controllo e l’illecita percezione di ingenti contributi comunitari concessi dall’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Ag.E.A.).
Più in particolare, proprio i nominati collaboratori, appartenenti alla famiglia mafiosa dei batanesi, dopo aver deciso di cambiare vita, tra novembre 2020 ed il recente gennaio 2021, rendevano importantissime dichiarazioni ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Messina, anche autoaccusatorie, che supportavano le ipotesi di reato già acclarate a valle della poderosa attività d’indagine, nonché consentivano di fare piena luce sulle dinamiche criminali della complessa e delicata area dei Nebrodi.
Per quanto di rilievo agli odierni fini, oltre ad attestarne l’operatività criminale sino ai recenti anni 2018 e 2019, uno dei collaboratori confermava la vicinanza dell’odierno imprenditore arrestato agli ambienti mafiosi locali e riferiva come lo stesso si fosse rivolto proprio al notissimo pregiudicato mafioso detto “il biondino” per recuperare manovalanza da impiegare quali fittizi braccianti agricoli su terreni di sua proprietà.
Dichiarazioni di pari tenore venivano poi rese anche da un altro collaboratore, il quale confermava quanto già acquisito.
In conclusione, il già compromesso quadro probatorio, ulteriormente aggravato dalle dichiarazioni dei citati collaboratori di giustizia, ha quindi consentito al G.I.P. del Tribunale di Messina, su richiesta della Procura della Repubblica di Messina, a disporre nei confronti dell’indagato la misura cautelare degli arresti domiciliari.
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