A Nicosia il 29 giugno verrà ricordato con una cerimonia la figura della vittima di mafia Antonino Burrafato

Antonino Burrafato
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Diceva Leonardo Sciascia «Questo è un Paese senza memoria e senza verità: io per questo cerco di non dimenticare.»

Il Centro Studi Lavoro e Cultura La Trincea dei Diritti, fa suo questo messaggio, per non permettere che passi nel silenzio, o peggio ancora nell’oblio, dopo quarantuno anni la morte del Nicosiano Antonino Burrafato, lo facciamo attraverso questo comunicato e questa cerimonia programmata, soffermandoci sui fatti.

Antonino Burrafato nasce a Nicosia il 13 giugno del 1933, nella sua Città natale, passa l’infanzia, l’adolescenza e gran parte della sua gioventù, nella sua Città si sposa con la Sig.ra Di figlia da cui avrà il suo unico figlio Salvatore.

Ancora giovane Antonino Burrafato attirato dai valori della famiglia e del lavoro, come insita nella cultura di ogni Nicosiano, decide di arruolarsi nel Corpo di Polizia Penitenziaria allora Agenti di Custodia è destinato a svolgere la sua attività lavorativa presso il carcere dei «Cavallacci» a Termini Imerese, Città in cui si trasferisce con sua moglie dove nasce suo figlio Salvatore oggi Presidente della Gesap, Società che gestisce i servizi dell’aeroporto Falcone/Borsellino di Palermo, e ancor prima Presidente del   Consiglio Comunale e in seguito Sindaco della Città Termitana.

Locandina 41 anniversario Antonino BurrafatoAntonino Burrafato grazie al suo senso del dovere, di responsabilità e di abnegazione al lavoro, consegue il grado di Vicebrigadiere.

La sua vita scorreva serenamente, da marito fedele e laborioso, da padre affettuoso e premuroso, da lavoratore simbolo per la sua integrità e per il suo rigore morale come ricorda il figlio autore del libro dedicato a suo padre «Un delitto dimenticato», questo fino a 44 anni e fino al 29 giugno 1982.

In quel disgraziato giorno tutto accade alle ore 15,30, mentre si recava presso la Casa Circondariale dove prestava servizio, veniva mortalmente raggiunto da numerosi colpi di fucile esplosigli contro in un vile agguato mafioso, «sacrificando la vita ai più nobili ideali di coraggio e di spirito di servizio», cosi Decretava l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione del riconoscimento della Medaglia d’Oro al Merito Civile in sua memoria il 4 ottobre 2006.

Antonino Burrafato era addetto all’Ufficio matricola ed anche quel giorno d’estrema calura, in leggero ritardo rispetto agli orari quotidianamente osservati, inconsapevole del suo ingrato destino, dopo essersi affettuosamente intrattenuto con il figlio e con la moglie per l’ultima volta, uscì per tornare al lavoro.

Il cammino che lo portava da casa al lavoro era breve e lo percorreva a piedi come ogni giorno. L’hanno assassinato in modo spietato, sotto il tiro incrociato della lupara e di una rivoltella calibro 38, colpendolo, mentre si trovava sul lato più basso di Piazza S. Antonio a Termini, quando era oramai a pochi passi dal carcere.

In seguito, si è saputo che i Killers avevano sparato da un’auto dapprima con un fucile a canne mozze senza colpirlo. Solo uno di loro era sceso a terra e aveva sparato cinque colpi mortali con una calibro 38 centrandolo alla testa e al torace.

Il delitto venne anche rivendicato da una colonna delle Brigate Rosse in risposta a presunte vessazioni subite in carcere all’Asinara dai militanti rossi reclusi nel carcere speciale.

È bastata una rapida verifica per scoprire il bluff: Antonino Burrafato non era mai stato all’Asinara.

I suoi ventuno anni di servizio li aveva trascorsi tutti al carcere dei «Cavallacci» di Termini Imerese, dove si era trasferito dalla sua natia Nicosia e dove stette fino a quando non trovò la sua morte.

Il 1982 era l’anno in cui i sicari della mafia prendevano di mira i rappresentanti più in vista delle Istituzioni: il 30 aprile veniva assassinato Pio La Torre, il Segretario del P.C.I.; il 3 settembre Carlo Alberto Dalla Chiesa, il Prefetto di Palermo e la sua giovane moglie Manuela Setti Carraro.

Anche Antonino Burrafato era un rappresentante delle Istituzioni: del corpo degli Agenti di Custodia (oggi Polizia Penitenziaria), un servitore dello Stato che pagò con la vita la sua lealtà verso la legge.

Antonino Burrafato, un eroe dei nostri tempi ma appartenente alla categoria di quelli di cui ci si dimentica. Sì perché si ricordano solo i personaggi illustri, le vittime eccellenti, non pensando che il dolore per la perdita di un proprio caro è uguale per tutti: si piange e ci si dispera nello stesso modo e soprattutto i famigliari imparano a convivere con quel senso di vuoto e con il dolore che lacera alla stessa identica maniera.

Nel caso dei familiari del Nicosiano Antonino Burrafato il dolore si è caratterizzato in misura più grave, poiché hanno dovuto aspettare un lunghissimo ventennio, prima che fosse accertata la verità e che fosse fatta giustizia.Antonino Burrafato

Devono trascorrere 14 anni, – 31 ottobre 1996, prima che Salvatore Cocuzza «uno dei tanti pentiti» rendesse le sue dichiarazioni che consentiranno alla Procura di Palermo di chiedere il rinvio a giudizio di Leoluca Bagarella, Giuseppe Lucchese, Antonio Marchese, Pietro Senapa e dello stesso Cocuzza; quest’ultimo, diversamente dagli altri imputati, avendo chiesto e ottenuto il giudizio con rito abbreviato. Questa «ordinaria» vicenda giudiziaria suscita stati d’animo contrapposti.

Da una parte coloro che considerano equa la condanna di un Killer ad appena 10 anni di reclusione; un assassino che, solo dopo avere fatto l’esperienza del carcere duro, ritengono proficuo il percorrere la strada della collaborazione con l’autorità giudiziaria senza alcun reale pentimento per l’accaduto.

Dall’altra parte i duri, quegli assassini che in linea di principio non ammettono un’attività processuale strutturata – quasi esclusivamente – sulle dichiarazioni rese dai «pentiti», ricordando «senza tanti torti» che prima di divenire collaboratori di giustizia sono stati dei Killer senza scrupoli che, seminando sangue e terrore, si sono pregiati di spezzare la vita di uomini, inermi, la cui unica colpa è stata quella di avere sempre assolto al proprio dovere.

Ancorché il codice penale in Italia preveda la pena dell’ergastolo per chi commette il reato di omicidio, l’acquisizione dello status di «pentito» ha determinato anche nel processo per l’omicidio di Antonino Burrafato, dapprima la riduzione della pena dall’ergastolo a 20 anni di reclusione; poi, attraverso la richiesta di giudizio con il rito abbreviato, l’ulteriore riduzione della pena ad anni 13 e mesi 4. In ultimo, le «attenuanti generiche» invocate dalla difesa di Salvatore Cocuzza, durante il processo d’appello sono state determinanti affinché la condanna finale si rendesse concreto in soli 10 anni di reclusione. E i familiari delle vittime della mafia?

In mezzo a queste contraddizioni continuano a sperare nell’attualità della giustizia con la duplice consapevolezza che senza la collaborazione dei «mafiosi pentiti» tanti processi non si sarebbero potuti celebrare, cosi come senza «i mafiosi» Cocuzza, Bagarella, Riina, Provenzano……i loro cari possibilmente, vivrebbero ancora.

Un libro per riportarlo alla memoria collettiva, una lapide sul luogo del delitto a Termine Imerese, le iniziative in suo onore del nostro Centro Studi “Nicosia accende il ricordo” e “L’anello della Memoria” la Villa Comunale che il Consiglio Comunale di Nicosia, gli ha voluto dedicare, ricordano la semplicità di un lavoratore Nicosiano in divisa, un simbolo conosciuto per la sua integrità e per il suo rigore morale, sia come uomo, sia come servitore dello Stato, emblema di coloro i quali vogliono affermare il diritto a un’esistenza libera da ogni forma di prevaricazione e di compromesso con il potere corrotto e criminoso.

Queste iniziative, certamente consentono di ricordare il Nicosiano Antonino Burrafato vittima di mafia Nicosiano, un uomo che è stato ucciso perché non ha osservato le famigerate leggi dettate dalla violenza e dalle barbarie degli uomini appartenenti a Cosa Nostra – ed anche le tante storie di mafia che non riescono a superare i confini della cronaca per riacquistare rinnovata valenza civile; contribuendo ad accendere i riflettori sul carcere, sul suo carico di condizionamenti ambientali forti, sui detenuti e sugli agenti di custodia: ausilio concreto per rendere giustizia a tutti quei servitori dello Stato, che, come Antonino Burrafato, sono morti per non avere voluto cedere né al permissivismo né al delirio sadico.

In questa Società che vive, nel bene e nel male, continue trasformazioni, invasa da notizie che si succedono freneticamente e che cancellano sistematicamente i fatti appena accaduti, la memoria, quella collettiva, d’intere generazioni deve costituire la prospettiva concreta per un futuro migliore.

Antonino Burrafato unico Nicosiano Medaglia d’Oro al Merito Civile, per decisione del Presidente della Repubblica Italiana del 4 ottobre 2006.

Antonino Burrafato è stato tumulato nella sua Nicosia e per noi ricordarlo con questa cerimonia è un dovere di Civismo.

Pasquale Calandra

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