A Troina il 23 giugno sarà presentato il libro di Pino Scorciapino “I prevaricatori, i sopraffatti, i cloroformizzati”

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Sarà presentato venerdì 23 giugno nel “Cine Camilleri” di Troina alle 18.15 il nuovo libro di Pino Scorciapino “I prevaricatori, i sopraffatti, i cloroformizzati” edito da Transeuropa Edizioni. A presentarlo assieme all’autore Melina Impellizzeri, professoressa di Lettere; Giuseppe Maenza, parroco a Troina, responsabile dell’ufficio di Pastorale Giovanile della Diocesi di Nicosia e referente diocesano dell’Ufficio regionale per i Giovani della Conferenza Episcopale Siciliana; Fino Buono, responsabile dell’UOC di Psicologia dell’IRCCS “Oasi Maria SS.” e docente universitario di Psicologia.

“I prevaricatori, i sopraffatti, i cloroformizzati” è il quindicesimo volume pubblicato da Scorciapino. Sessantotto anni, saggista, storico, biografo, aforista, Scorciapino vive a Troina. È stato dirigente della Regione Siciliana a Palermo dal 1987 al 2017 nel settore programmazione economica e investimenti europei. Giornalista pubblicista, dal 1983 al 2016 ha collaborato a quotidiani e periodici tra cui Giornale di Sicilia, Cronache Parlamentari Siciliane, SiciliaInformazioni.com. Attualmente collabora al sito www.piolatorre.it del “Centro Studi Pio La Torre” di Palermo.

Il dottor Giuseppe ScorciapinoAfferma l’autore: “Un titolo per una raccolta di miei scritti pubblicati dal 2018 al 2023 su www.piolatorre.it del Centro Studi “Pio La Torre”? Ho scelto “I prevaricatori, i sopraffatti, i cloroformizzati”, tripartizione nella quale possono suddividersi persone e comportamenti del nostro tempo. Una ventina l’anno i miei contributi pubblicati nel sito. In netta prevalenza riguardanti politica internazionale, conflitti, disarmo, armamenti: un filone, chiamiamolo così, diventato contenuto di una raccolta tematica omogenea che vedrà la luce nelle prossime settimane. Ma nelle pagine di “I prevaricatori, i sopraffatti, i cloroformizzati” ho voluto privilegiare “altri” temi. Meno omogenei, tuttavia tenuti assieme dal titolo adottato. E, non meno, dal sottotitolo nel frontespizio nella pagina iniziale del libro, di fatto “manifesto” dell’intento che ha ispirato la raccolta: “Scritti (2018-2023) per indignarsi e non voltarsi dall’altra parte”. Il libro è stato scritto con la collaborazione di mia figlia Lucia Scorciapino”.

Nel capitolo introduttivo la fondamentale spiegazione della tripartizione. E, come in una antologia, nei miei trentuno contributi che seguono – alcuni articoli più o meno brevi, altri corposi saggi giornalistici: tutti da contestualizzare alla data in cui sono stati scritti – mi confronto con inquietudini, minacce, indifferenze dei nostri giorni. Tra gli argomenti affrontati sui quali “bisogna” indignarsi e non voltarsi dall’altra parte: migranti, razzismo, Mezzogiorno d’Italia sempre più abbandonato, carenza di personale medico, sanità pubblica allo sbando, cicatrici sociali e comportamentali lasciateci dal covid, il dramma della disoccupazione e il precariato. E ancora: lo smartphone-droga, i ragazzi hikikomori, l’“amore criminale” inarrestabile dei femminicidi, il “lavoro criminale” insopportabile della strage dei morti sul lavoro, i supermiliardari che detesto più che posso, le scelte improcrastinabili per salvare l’ambiente. Non potevo non puntare il dito sulle piattaforme di commercio elettronico e on line come Amazon o Alibaba: hanno completato il lavoro nefasto dei grandi centri commerciali dando così il colpo di grazia al commercio di prossimità e reso città e paesi svuotati di attività commerciali e con sempre meno gente nelle vie. Né potevo restare indifferente al lavaggio del cervello al quale ci sottopone per mesi la Rai pur di infiocchettare a tutti i costi il Festival di Sanremo come l’evento più importante dell’anno. Segnalo infine una personalissima visione della lotta di classe attualizzata al XXI secolo”.

In ognuno dei contributi sopra elencati – elenco per forza di cose incompleto, nelle 240 pagine del libro c’è spazio per molte altre argomentazioni e indignazioni – si ritrovano prevaricatori che rendono il prossimo o sopraffatto o cloroformizzato. Così come si ritrovano cloroformizzati informatici (e mediatico-televisivi) ormai imprigionati nel loro mondo virtuale. Giovani e anche meno giovani, generazione z ma non mancano un po’ di boomer. Immersi nelle loro nuove abitudini dettate da “Mi piace” sommari e scriteriati, da social, influencer, chat, soggiogate da uso compulsivo di smartphone, iPhone e tablet, di Twitter e Tik Tok. Impigriti. Indifferenti a tutto ciò che è fatto di vita reale se non addirittura scollegati dalla realtà. Restii alle relazioni con gli altri in presenza e non attraverso il display del telefonino o del portatile. Tanto connessi dal e all’inseparabile cellulare quanto sconnessi dalla necessità di rimboccarsi le maniche e sporcarsi le mani nel quotidiano”.libro di Pino Scorciapino I prevaricatori i sopraffatti i cloroformizzati

Indigniamoci. – prosegue Scorciapino – Nessuno auspica manifestazioni di piazza alla francese, vetrine di negozi devastate e auto in sosta incendiate – ci mancherebbe! – ma rimane sconcertante l’indifferenza, l’arrendevolezza, la passività degli italiani sui temi economici e sociali. Possono ballarci sopra la pancia, possono approvare leggi che rendono alla fine il lavoro sempre più precario, sempre più povero, possiamo ritrovarci schiacciati dall’inflazione, dal caro-bollette, dai prezzi alle stelle di tutti i beni, a partire dalla spesa alimentare, ma noi siamo signori, non ci indigniamo. Non protestiamo. Sì, qualche brontolio. Per carità, ci può stare. Ma, dopo qualche giorno, tutto si placa, tutto si accetta. Forse perché esistono il lavoro nero e l’evasione fiscale che fanno – come dire? – da ammortizzatori sociali? Forse perché esiste una ramificata economia criminale che sfugge a statistiche e regole? Potremmo definirli ammortizzatori sociali all’italiana. Può essere. Peccato che – divorati da bollette e inflazione i risparmi messi da parte a costo di feroci rinunce su tutto, dalle cure mediche all’alimentazione – i pensionati non ce la fanno più a vivere con 600 o 700 euro al mese. E, alle prese con il “combinato disposto” di lavoro povero e carovita, rischiano di ricorrere ai pasti e ai pacchi alimentari delle Caritas e delle altre associazioni di volontariato tante famiglie monoreddito, le neoformate così come le composte da quarantenni e cinquantenni”.

Non capiamo, o facciamo finta di non capire, che la situazione è epocale: da tre lustri a questa parte i ricchi diventano sempre più ricchi, i miliardari accatastano inaccettabilmente sempre più miliardi mentre per converso i poveri diventano sempre più poveri, il ceto medio tende a sparire o comunque ad assottigliarsi. Era il ceto medio il vero motore della crescita economica e sociale. In Italia come altrove. Se cresce il ceto medio aumentano i consumi, l’istruzione, i servizi, il turismo. E dunque aumenta la produzione agroalimentare, industriale, culturale. Dagli anni ’60 del secolo scorso fino a non molti anni fa è stato così. Tutto ineluttabile? Tutto irrimediabile? Ma quando mai. Non tutto può dipendere dalle Borse, dalla finanza, dalla BCE, dalla “Federal Reserve” americana, dai tassi di interesse che salgono o scendono, dai fatidici responsi delle tre “Agenzie di Rating” (Fitch, Moody,s, Standard & Poor’s). La politica – meglio: la buona politica – non arretri di fronte al predominio della finanza. Non si faccia schiacciare. La politica viene prima. “Deve” venire prima. E noi italiani ricominciamo ad indignarci, a lottare. Lottare non significa scivolare per forza di nuovo come negli “anni di piombo” in violenze, P38, attentati, bombe, terrorismo. Spauracchi che vengono additati da vari esponenti politici per tenerci buoni, per tenerci ben spenti nella nostra rassegnazione. Si lotta prima e più di tutto con la discussione e la partecipazione, incontrandosi, dialogando, manifestando sempre in modo non violento, protestando pacificamente, uscendo dalle case, dal privato, dall’informatica e dal telefonino che ci cloroformizzano, ci chiudono, ci estraniano”.

Bisogna lottare sul terreno retributivo e dei diritti nel lavoro ma con una strategia che metta assieme a lavoro e salari altri pilastri del vivere civile e dell’organizzazione sociale di un paese. Perché siamo così arrendevoli di fronte allo smantellamento pezzo per pezzo della sanità pubblica? Perché assistiamo distratti ed indifferenti al disastro di una scuola pubblica nella quale il dirigente scolastico ormai svolge più che altro il mestiere di autista per spostarsi un giorno qui un giorno lì in qualcuna delle cinque o sei o otto scuole di cui è “preside”, come si diceva una volta? E’ normale tutto questo? E’ accettabile? E’ irrisolvibile? E perché non si parla più di tassare gli extraprofitti ossia i guadagni supermiliardari introitati dalle aziende del settore energetico, a cominciare dalle grandi aziende di Stato, proprio grazie all’impennata dei costi del gas e degli idrocarburi in genere?

Indigniamoci.  – conclude l’autore – Perché non sappiamo andare oltre una scrollata di spalle quando ascoltiamo o leggiamo di ennesime morti sul lavoro e di incidenti sul lavoro. Una strage che viaggia – come decenni fa quando si lavorava con pala e piccone – su numeri assurdi di deceduti che superano di molto il migliaio l’anno. Se siamo indifferenti siamo complici di queste morti”.


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